Economia

07/10/2022

Crollo dell’automotive occidentale – In 20 anni perso il 70% della capacità produttiva

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Crollo dell’automotive occidentale – In 20 anni perso il 70% della capacità produttiva. I numeri sono eloquenti: gli Stati Uniti hanno perso il 71,8% della produzione. In Italia la situazione è simile, il suo -68,9% .

In Europa il calo è più contenuto in Germania  (-40%).

I dati emergono dallo studio Oica sul numero di auto prodotte dal 2000 al 2020.

Luca Beltrametti, docente di politica economica all’Università di Genova, ha analizzato il fenomeno «Una delle cause che hanno contribuito alla perdita di capacità produttiva dell’intero occidente è la delocalizzazione a est – ha spiegato al sito industriaitaliana.it – La Germania ha retto meglio degli altri Paesi perché gli headquarter sono tedeschi e hanno mantenuto il grosso della produzione all’interno del Paese».

Al contrario,  l’intera produzione mondiale è aumentata quasi del 40% nello stesso periodo, passando da 41.299.068 macchine del 2000 a 57.054.295 del 2021.

“A trainare l’automotive – si legge su industriaitaliana.it –  è stata la Cina, che ha aumentato la sua produzione di oltre 30 volte, passando da 604.677 auto prodotte nel 2000 alla cifra monstre di 21.407.962 nel 2021 (Elaborazioni su dati Oica). «La grande crescita economica cinese dell’ultimo ventennio ha creato una classe media che ha iniziato ad acquistare macchine – prosegue Beltrametti – La Cina si è creata così i suoi produttori e ha soddisfatto la sua enorme richiesta di produzione interna». E con la transizione forzata all’elettrificazione imposta dalla Commissione europea con i provvedimenti contenuti nel pacchetto Fit For 55 – che vieta le vendite di nuove automobili a benzina e a gasolio in Europa dopo il 2035 – si aggraveranno ulteriormente le difficoltà del settore nel Vecchio Continente. In Italia a poco stanno servendo gli incentivi finalizzati all’acquisto di vetture elettriche: la politica in materia si sta muovendo in maniera superficiale e poco organizzata, trascurando gli enormi impatti sociali di una transizione obbligata che la filiera dell’automotive non era pronta ad affrontare. Ripercussioni non solo per il consumatore finale, ma anche per tutti gli attori della supply chain. Componentisti e Oem stanno faticosamente cercando di riconvertire la produzione, che era assolutamente associata ai motori a combustione interna. I componentisti auto – come Brembo, Sogefi, Landi Renzo, Streparava, Omr, Marelli, Adler, Dell’Orto – danno un grande contributo all’economia e alla bilancia commerciale italiana: occupano 160mila dipendenti con un fatturato globale che vale 45,8 miliardi. È quindi importantissimo che siano in grado di fronteggiare le disruption che stanno scuotendo l’automotive. Per affrontare la complessità del momento, tanti di loro forse dovrebbero scegliere la via dell’aggregazione. È già accaduto con i produttori: si pensi alla fusione tra Fca e Psa, che ha dato vita a Stellantis. Ad esempio, il gruppo italiano Adler Pelzer, attivo nella progettazione e produzione di sistemi per l’isolamento termico/acustico dei veicoli, ha acquisito la divisione Acoustics and Soft Trim (Ast) dal colosso francese Faurecia”.

“Nel nostro Paese – spiega ancora nella sua analisi Chiara Volonté su industriaitalian.it – “manca una seria politica industriale dell’auto: ad esempio, Cassa Depositi e Prestiti è assente da questa partita. Senza considerare che la potenza – anche mediatica – della famiglia Agnelli ha reso molto difficile l’azione pubblica nei confronti del settore. Inoltre, il nanismo delle imprese nostrane rende la loro capacità di interazione coi soggetti pubblici molto difficile. È realisticamente possibile invertire il trend di declino produttivo? Ci vorrà molto tempo, è sarà fattibile solo investendo in ricerca e sviluppo. Studiando e portando avanti programmi di formazione. E soprattutto partendo da serie politiche industriali che comprendano la necessità di acquisire maggiori informazioni circa le e-car e il processo di elettrificazione.

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