Territorio
05/08/2024
Milano – In Lombardia 3 animali allevati per ogni abitante: “Un disastro, per aria e acqua”: gravi conseguenze anche a Milano. Il nuovo studio
Milano – In Lombardia 3 animali allevati per ogni abitante: “Un disastro, per aria, acqua”: gravi conseguenze anche a Milano.
Lombardia: allevamenti intensivi e inquinamento, una crisi ambientale
In Lombardia, gli allevamenti intensivi rappresentano una seria minaccia per l’ambiente. Con tre animali allevati per ogni abitante, la regione sta vivendo gravi conseguenze sull’aria e sull’acqua, estese fino a Milano. Nonostante i danni evidenti, le politiche nazionali e regionali continuano a favorire l’industria zootecnica, introducendo deroghe e riducendo i limiti sugli inquinanti.
Lombardia e Piemonte a rischio
Le deroghe ottenute da Lombardia e Piemonte permettono maggiori quantità di azoto nei campi, aggravando l’inquinamento, in contrasto con le normative europee che l’Italia ha violato più volte. A differenza di paesi come la Danimarca, che ha imposto tasse sugli allevamenti per ridurre le emissioni di gas serra, l’Italia non ha introdotto misure efficaci per abbattere le emissioni di ammoniaca, metano e protossido di azoto.
Gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di formazione di polveri fini PM 2,5, pericolose per la salute pubblica. Federica Ferrario di Greenpeace Italia ha sottolineato che in Lombardia, gli allevamenti sono responsabili dell’85% delle emissioni di ammoniaca, contribuendo significativamente all’inquinamento atmosferico.
Studi dell’Università degli Studi di Milano e di altre istituzioni hanno dimostrato che l’impatto delle attività agricole e degli allevamenti sulle polveri fini è comparabile a quello delle fonti di inquinamento tradizionali come il traffico e l’industria. Un aumento del bestiame porta a un aumento significativo delle concentrazioni di ammoniaca e particolato, esponendo la popolazione locale a rischi sanitari considerevoli.
Il sovraccarico di azoto, causato dalle deiezioni animali su terreni inadeguati, aggrava ulteriormente il problema. Le norme italiane prevedono limiti specifici per l’applicazione di liquami sui campi, ma le deroghe concesse hanno portato al superamento di questi limiti in molte aree, aggravando l’inquinamento delle acque.
Gli studi dimostrano che l’allevamento intensivo è una delle principali fonti di inquinamento in Lombardia, contribuendo significativamente al deterioramento della qualità dell’aria, specialmente durante i mesi invernali quando il letame viene sparso nei campi.
La mancanza di terreni adeguati per lo smaltimento dei liquami e per la coltivazione dei foraggi porta a una dipendenza crescente da mangimi importati, compromettendo ulteriormente la sostenibilità del settore. Mentre i prodotti DOP italiani come il Grana Padano e il Prosciutto di Parma continuano a essere esportati come eccellenze del Made in Italy, gran parte dei mangimi utilizzati per l’allevamento proviene dall’estero.
Di fronte a queste sfide, esperti come Damiano Di Simine di Legambiente suggeriscono un cambiamento verso una produzione più qualificata e sostenibile, riducendo la quantità prodotta a favore della qualità.
“L’allevatore che sfrutta se stesso” – spiega Di Simine al Fatto Quotidiano: “Quando l’abbiamo fatto con il vino dopo la crisi del metanolo, abbiamo fatto tombola. I viticoltori, che erano conferitori di uva sono diventati la nobiltà dell’agricoltura, producendo meno vino ma di qualità, destinato a esportazione”.
Ma oggi “chi ha la soccida, tipico allevamento del maiale, sta sfruttando se stesso”.
“C’è una società, magari una multinazionale – scrive il Fatto – ” che fornisce maialetti da ingrassare e foraggio e l’allevatore deve garantirgli che, alla fine del ciclo, il maiale avrà un certo peso e potrà essere commercializzato”.
“In pratica sei un lavoratore dipendente, perché dipendi da qualcuno che ti fornisce il maiale e te lo ritira, quindi non sei autonomo – aggiunge Di Simine – non puoi scegliere dove collocare il tuo prodotto e ci metti anche i mezzi di produzione, la stalla e il rischio che l’animale si ammali. Nel bovino le cose vanno un po’ meglio, perché il Grana Padano, bisogna dirlo, riconosce dei buoni pagamenti. Fin quanto le regole del disciplinare di produzione consentono questo altissimo livello di intensità zootecnica il made in Italy può anche andare a gonfie vele, ma è come se facessi il Chianti con uva del Sud Africa”.
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