
L’Alzheimer può essere scoperto fino a 18 anni prima, a causa di alcuni segnali. Ecco quali sono: lo studio
L’Alzheimer può essere scoperto fino a 18 anni prima, a causa di alcuni segnali. Ecco quali sono: lo studio
Un nuovo studio internazionale ha rivelato che i segnali precoci di Alzheimer possono essere identificati fino a 18 anni prima della diagnosi, consentendo un’anticipazione significativa nella comprensione e nel trattamento della malattia neurodegenerativa.
Questo studio, condotto su migliaia di partecipanti per un periodo di 20 anni, ha evidenziato che le prime firme biologiche della malattia si manifestano attraverso variazioni nella concentrazione di specifiche proteine nel liquido cerebrospinale e alterazioni nel tessuto cerebrale.
I segni diventano sempre più evidenti e definiscono una sequenza temporale precisa fino alla diagnosi di demenza.
“A rilevare la lunga sequenza dei segnali dell’Alzheimer prima della comparsa dei sintomi diagnostici – scrive Fanpage.it – ” è stato un team di ricerca cinese guidato da scienziati del Centro di innovazione per i disturbi neurologici – Dipartimento di Neurologia dell’Ospedale Xuanwu, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di molteplici istituti. Fra quelli coinvolti il Centro per la malattia di Alzheimer – Istituto di Pechino per i disturbi cerebrali; l’Ospedale Anding e il Dipartimento di Psichiatria dell’Ospedale popolare provinciale di Zhejiang. I ricercatori, coordinati dal professor Jianping Jia, hanno condotto uno studio caso-controllo multicentrico con migliaia di partecipanti, tutti coinvolti nello studio China Cognition and Aging Study (COAST) eseguito fra gennaio 2000 e dicembre 2020. In questo arco temporale una parte dei volontari è stata sottoposta a una serie di esami regolari (ogni due o tre anni), fra i quali test del liquido cerebrospinale (CSF), scansioni cerebrali e valutazione della funzione cognitiva attraverso test standardizzati alla stregua del Clinical Dementia Rating-Sum of Boxes (CDR-SB)”.
Il ruolo della genetica, evidenziato nel gruppo di pazienti con Alzheimer, potrebbe avere un impatto significativo nella prevenzione e nel trattamento della malattia. Tuttavia, ulteriori conferme da studi più ampi e diversificati sono necessarie per consolidare questi risultati.