Cultura
Milano
/23/05/2022
Iperconnessi ma distaccati: eppure la comunicazione serve per cooperare confermano gli economisti
Un messaggio importante e per nulla trascurabile in un'era di iper-connessione e di ipo-comunicazione come la nostra
Come avviene la cooperazione tra gruppi di persone? Cosa può favorirla e cosa metterla in difficoltà? Si parla tanto di comunicazione, ma sarà proprio vero che serve così tanto per raggiungere dei risultati di gruppo? Questi potrebbero essere alcuni degli interrogativi a cui hanno cercato di rispondere i ricercato sperimentali. La conclusione a cui sono arrivati è che la possibilità di comunicare all’interno di qualsiasi rapporto, aumenta la possibilità di cooperare. Sono diversi gli studi che hanno cercato di chiarire questi meccanismi cognitivi e comportamentali, cerchiamo di comprendere insieme qualche spunto di riflessione interessante.
Il public good game come oggetto di studio:
Gli studiosi prendono come oggetto di osservazione il processo di produzione volontaria di un bene pubblico. In condizioni di totale anonimato e in assenza di qualunque forma di comunicazione, ciò che si osserva è una iniziale disponibilità a cooperare che però si affievolisce con il passare del tempo. Le persone, come ovvio, hanno caratteristiche differenti, ma nei vari gruppi è stato possibile individuare due tipi di comportamenti ricorrenti: i free riders e i cooperatori condizionali. I primi sono indisponibili a cooperare qualunque cosa facciano gli altri, i secondi si dimostrano propensi a cooperare se vedono gli altri cooperare e, viceversa, fanno un passo indietro se si accorgono di essere circondati da free riders. Osservando il citato public good game, si ricorre più o meno nella stessa situazione: i gruppi iniziano a cooperare, ma poi, lentamente, la cooperazione si riduce fino a convergere verso il livello previsto dalla teoria, cioè zero.
Il fattore decisivo per aumentare la cooperazione:
Quando, però, entra in gioco la possibilità di comunicare, le cose sembrano cambiare radicalmente. Uno dei primi studi a riguardo è stato quello condotto nel 1988 dai due economisti statunitensi Mark Isaac e James Walker. Successivamente Olivier Bochet e Louis Putterman (“Not just babble: opening the black box of communication in a voluntary contribution experiment”. European Economic Review 53, pp. 309‒26, 2009) provano a valutare l’incidenza e il ruolo delle promesse. Proseguono Cristina Bicchieri e da Azi Lev-On (“Computer-mediated communication and cooperation in social dilemmas: an experimental analysis”. Politics, Philosophy & Economics 6, pp. 139–68, 2007). Le conclusioni del loro studio sembrano mostrare che l’efficacia della comunicazione è legata non tanto alla possibilità di formulare delle promesse, quando alla sua capacità di attivare quelle norme sociali che impongono il rispetto di quelle stesse promesse. Questo è possibile grazie alla ricchezza dello scambio comunicativo verbale ma soprattutto para verbale e non verbale (linguaggio del corpo).
La comunicazione faccia a faccia è un’altra cosa:
La comunicazione faccia a faccia rafforza la capacità di cooperazione, tramite quei piccoli gesti (come ad esempio una stretta di mano, una strizzatina d’occhio, lo scambio di uno sguardo), che diventano segnali di intesa preziosissimi perché altamente informativi. Un messaggio importante e per nulla trascurabile in un’era di iper-connessione e di ipo-comunicazione come la nostra. al tempo stesso, siamo perennemente in contatto con gli altri, ma non lo siamo pienamente perché il contatto avviene prevalentemente attraverso mezzi che limitano fortemente le nostre capacità espressive (messaggistica, email, chat). In questo modo la cooperazione diminuisce e aumenta il rischio di conflitti.
E.F.M.
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