Nuova vita per i manager cinquantenni: “Più pronti a mettersi in gioco e più attrattivi per le aziende”. Lo studio

13/09/2023

Nuova vita per i manager cinquantenni: “Più pronti a mettersi in gioco e più attrattivi per le aziende”. 

I manager e i professionisti vicini ai 50 anni stanno attraversando un notevole cambiamento nel loro approccio professionale, diventando sempre più pronti a rinnovarsi e, in conseguenza, più desiderati dalle aziende. Un cambiamento che testimonia l’importanza crescente del lifelong learning, o dell’apprendimento continuo.

Con il mercato del lavoro in evoluzione, molti stanno valutando le proprie prospettive di carriera, spostandosi verso settori più promettenti. La “Great Resignation” e il “Quite Quitting” hanno aggiunto ulteriore dinamicità al mercato, influenzati dall’adozione accelerata delle tecnologie durante la pandemia.

Mauro Mancini, Associate Dean for Executive Education alla Graduate School of Management del Politecnico di Milano, ha evidenziato l’importanza del turnover delle figure senior. L’adozione del digitale ha offerto nuove opportunità di cambiare lavoro, migliorare il bilanciamento lavoro-vita e rimettersi in gioco.Il vero cambiamento risiede nel modo in cui i cinquantenni ‘vedono’ il lavoro. Non sono più disposti a sedersi e accontentarsi del loro attuale stato, ma sono pronti a cambiare e adottare nuove ‘skill’.

 

Una tendenza emergente è il “fractional management”, dove le responsabilità manageriali vengono suddivise, ideale per le piccole organizzazioni.

Il vero cambiamento risiede nel modo in cui i cinquantenni vedono il lavoro. Non sono più disposti a sedersi e accontentarsi del loro attuale stato. Al contrario, sono pronti a cambiare e adottare nuove skill. Mancini evidenzia l’importanza della collaborazione tra le diverse generazioni in azienda, con l’HR che gioca un ruolo fondamentale. Questo cambio di mentalità è evidente nelle aule del Polimi, dove la diversità tra gli studenti è palpabile. La predisposizione all’apprendimento è essenziale; quelli che non si adattano rischiano di rimanere indietro.

Le aziende ora hanno l’opportunità di arricchire le proprie squadre con professionisti esperti che cercano ben più di un semplice stipendio. La volontà di crescere, utilizzare le competenze acquisite e bilanciare lavoro e tempo libero sta diventando un fattore dominante. Mancini sottolinea che questa trasformazione non è solo una tendenza temporanea, ma riflette un cambiamento sociale.

“Il cambiamento in atto ha aggiunto  l’esperto a Il Sole 24 Ore – ” lo si vede del resto anche nelle aule della Graduate School of Management del Polimi, frequentate da una miscellanea di figure con curricula, incarichi ed esperienze (oltre che età e provenienza) anche molto diverse fra loro. «Apprendere e pensare all’opportunità di crescita professionale – chiude il ragionamento Mancini – è la chiave di volta anche per i 50enni e non solo per i giovani talenti di 25 anni. La tendenza al cambiamento è personale ma vi sono settori che più di altri, come l’energy e il comparto media per esempio, oggi più sensibili a questa tematica: c’è in ogni caso maggiore voglia di scommettere anche fra le figure apicali dell’organizzazione, perché le tematiche di business strategy o di digital transformation sono trasversali e permettono, lavorativamente parlando, di cambiare pelle. E vale, in tal senso, molto di più il fattore delle soft skill che la competenza specifica maturata in una singola industry».

Una tendenza positiva, si diceva, che ovviamente presenta anche un rovescio della medaglia rappresentato dal rischio che qualcuno possa rimanere indietro. I più esposti a questo rischio, secondo l’Associate Dean del Polimi, sono coloro che non vogliono cavalcare il cambiamento e non hanno il cosiddetto “learning mindset”, e cioè la predisposizione ad apprendere qualcosa di nuovo. La pandemia ha insegnato che il cambiamento viaggia veloce ed è per questo che la componente del lifelong learning diventa un asset da valorizzare. Non è quindi casuale che sempre più manager chiedano di rimettersi in gioco investendo in prima persona sui servizi di formazione a grande valore aggiunto, che stanno a loro volta trasformandosi in contenuto e formato.

Dal punto di vista delle aziende, si sta dunque delineando una grande opportunità per arricchire e rinfrescare gli organici mettendo sul tavolo “asset” che vanno ben oltre il fattore stipendio, non più così determinante come in passato perché non più il vero driver che porta alla scelta di cambiare azienda o professione. La convinzione di Mancini, tutt’altro che irrilevante, è che non si tratti di un fuoco di paglia o di una moda passeggera: «La prospettiva di allungamento della qualità della vita è comune sia al 30enne che al 50enne e si riflette nella volontà di crescere professionalmente, di spendere al meglio nelle scelte future il bagaglio di competenze acquisito e di trovare il perfetto equilibrio fra lavoro e tempo libero. Stiamo vivendo un fenomeno che non è indotto da una domanda di mercato, ma da una reale trasformazione sociale».

 

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